Anche questa è una domanda frequente: “voi come spiegate la morte ai vostri figli?”
In qualunque modo accada, la morte è un evento naturale della vita di tutti. Steve Jobs la definiva perfino la più grande invenzione, il mezzo che la vita umana ha per rinnovarsi, per buttare il vecchio e fare largo al nuovo.
In casa nostra, con Samuele, abbiamo sempre inserito la morte nella narrazione e nel linguaggio comune come un fatto che esiste e che, in tutte le cose, determina una via di rinnovamento e di risurrezione. Risorge la natura in primavera, risorge il bozzolo in farfalla, spesso risorgono perfino i vivi grazie ai morti, i nostri nonni sono morti, si diventa grandi, s’invecchia e poi si muore e così via.
L’altro ieri, si è presentata per noi la prima occasione di coinvolgere nostro figlio in funerale. La migliore che potessimo avere: dopo una lunga sofferenza e una malattia affrontate con grande dignità e profonda tenerezza, abbiamo perso un amico più unico che raro. Nzumbu, medico e padre di tre figli, marito della mia amatissima e meravigliosa amica Carla, è un uomo che ha speso una vita intera per gli altri, per i poveri, per gli ultimi, per la sua famiglia e la sua vocazione. Sono state le uniche due persone ad irrompere in ospedale al di fuori dell’orario di visita quando ho partorito per venire ad abbracciarmi e a visitare Samuele nato da poche ore prima che lo dimettessero dall’ospedale. Rimasi in cinta proprio quando avremmo dovuto andare in Congo assieme e decidemmo di non partire.
Quando ha iniziato ad avere ricadute e la sua malattia è degenerata, ha cominciato a scambiare i nostri nomi: chiamava mio marito (Marco) “Giorgio” e a quel punto non sapeva più come mi chiamassi io. Era eccezionale Nzumbu, i suoi balletti, le sue battute, le camicie, il suo antibiotico sempre in tasca… tutto l’opposto della moglie, un’altra fenice volata volontaria al Nord durante la prima ondata di Covid. Si è ammalata in ospedale Carla, medico anche lei, curando chi moriva da solo, prendendosi man mano “l’amorevole fastidio” di comunicare l’elenco dei morti alle famiglie (come solo lei poteva prendersi la briga di fare), mentre Nzumbu era stato ricoverato d’urgenza in ospedale e i figli, poco più che vent’enne Maurice (il più grande), si occupavano del resto… e quante altre cose meravigliose potrei raccontarvi di questi amici a noi così tanto cari!
Il funerale di Nzumbu è stato un simposio di grandi emozioni, di canti congolesi, di donne vestite con abiti raffiguranti la Trinità, i Santi, il cielo…
Un funerale è un ricordo indelebile. Quello di una persona a cui vuoi bene che se ne va è un atto di verità e di concretezza estremo che ti ricorda sempre che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo e che, per qualche oscuro mistero, tu sei ancora vivo e un altro no.
Io ne ricordo pochi perché i miei credo non volessero portarmi. Più dell’aver perso mio nonno paterno, mi dolse il fatto di non averlo più potuto vedere quando era in ospedale e di non essere stata portata al suo funerale. Ricordo perfino com’ero vestita quel giorno e dov’ero seduta, a immaginare come sarebbe stato seppellirlo, il Sarto dell’Umbria.
La morte non si può evitare. E’ un evento misterioso verso il quale tutti siamo sempre e comunque potenzialmente esposti. Non credo occorra fare esempi, soprattutto di questi tempi. Ogni momento potrebbe essere quello giusto per morire. Ecco perché noi abbiamo sempre pensato che la morte non vada spiegata, ma vissuta ogni giorno con una naturale attitudine, la stessa che abbiamo nei confronti della vita, raffinata espressione per tutto “dell’essere vivente”, privilegio di chi oggi riesce a nascere e vocazione principale di ogni uomo e di ogni donna. Noi non siamo in linea con l’uovo che non si mangia perché altrimenti il pulcino… Noi mangiamo l’uovo perché esiste un cerchio della vita e anche perché le uova ci piacciono.
Non abbiamo dovuto spiegare nulla a Samuele, non ce n’è stato bisogno. Ha capito tutto da solo. E’ naturalmente insita in ogni essere umano la conoscenza della morte, anche nei bambini, solo che gli adulti passano una vita a tentare di evitare l’argomento, di renderlo digeribile, pettinato, di confinarlo a un certo punto o a certe circostanze. Noi no.
“Che bello il funerale di Nzumbu, mamma! Però, mi sono intristito quando ho visto tutte quelle persone addolorate. Mi è dispiaciuto molto.”
Portiamo i nostri figli ai funerali. Hanno cuori grandi e tanto spazio per mettere in ordine tutto dentro di loro. Non facciamogli trovare dei giganteschi vuoti di realtà quando sarà il momento di vivere quei tre o quattro eventi più importanti della loro vita.
Ciao caro Nzumbu, ci vediamo.

Io ho detto a mio figlio che la morte è solo una trasformazione. Mia madre mi negava di vedere i morti perchè pensava che rimanessi traumatizzata perchè ero troppo piccola. Invece a rimanerci traumatizzata è stata lei quando ha visto morire mio padre di un cancro fulminante in un mese ( solo perchè aveva lavorato con l’amianto da giovane e la ditta gli aveva concesso un solo controllo ai polmoni). Io ho portato mio figlio dal nonno e ho voluto che conoscesse la morte di persona perchè bisogna conoscere tutti gli aspetti della vita.
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