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Vecchi giochi e apprendimento.

Quello che per noi è vecchio per un bambino può rappresentare una grande novità, oltre che un'ottima occasione di apprendimento e di multidisciplinarità.

In effetti, giocare con i vecchi giochi di mamma e papà che occupano spesso cantine e soffitte per anni può sembrare una scelta che ha poco a che fare con l’istruzione, l’educazione o l’apprendimento. Invece, non è così. Generalmente, questo preconcetto risiede nel fatto che noi, ad un certo punto della nostra vita, magari ci siamo stufati di giocare con certi giochi oppure nell’idea che i bambini di oggi non giocherebbero mai con “Indovina Chi”, “Le Gemelle”, “Affonda la flotta”, “Mastermind”, “Braintrainer”, “L’allegro chirurgo”, “Cluedo”… Quanti altri ve ne ricordate?

Già di default, per un bambino essere invitato in una cantina o in una soffitta è quasi meglio che andare in un parco divertimenti. Se poi ci mettete un po’ d’improvvisazione teatrale (tipo la caccia al mostro delle favole -attenti a quello che dite e a come lo dite, se volete continuare a dormire la notte), una narrativa antecedente condivisa con amici e parenti (tipo “ti ricordi il secchio nello stinco?”), uno swiffer per togliere quel gentil strato di trentennale polvere, la chiave (da consegnare rigorosamente al vostro piccolo ospite visitatore) una domenica di pioggia e qualcosa da sgranocchiare, il gioco è fatto. Tutti pazzi per i vecchi giochi!

Se da un lato Candy Candy e Lady Oscar hanno distrutto intere generazioni di bambini e bambine strappati a pozzanghere e scafandri, dall’altro Risiko e Tabù la fanno ancora da padroni, per non citare “Monopoli” o “Dama” (anche se ho scoperto di recente che ci sono bambini che non hanno la più pallida idea di cosa sia una scacchiera).

Chi è del posto lo sa già: non si impara solo facendo o sbagliando, imparando a chiedere scusa o guardando chi sa fare una cosa senza porre domande. Si impara anche, o forse soprattutto, giocando. E qui vi consiglio un bel libretto da leggere di Pier Aldo Rovatti e Davide Zoletto: “La scuola dei giochi”. Aggiungerei André Stern, figlio di Arno, citato anche nel mio ultimo libro “La scuola non esiste” (clicca qui per acquistarlo), ma abbiamo ancora lo 0,0000000001% di libri tradotti in italiano, quindi…

Se avete presenti nei vostri armadi non so dove almeno un paio dei giochi che ho citato in queste poche righe, andate a prenderli con i vostri figli, inscenando con meticolosità tutto ciò che serve per rendere l’esperienza della riconquista duratura e appassionante. Se non lo avete ancora fatto vi siete persi una bellissima occasione di apprendimento (che comunque avrete senza dubbio maturato altrove mentre noi eravamo occupati a capire dov’erano le navi da affondare, ci mancherebbe).

Vi lascio con qualche domanda alla quale siete invitati a rispondervi per migliorare l’esperienza che farete di questa domenica bestiale (citazione qualunque, giusto per restare nello stesso periodo storico) mentre cercherete di capire la mazza, la stanza, i testimoni e il movente:

Quanti numeri e lettere ci sono in alcuni di questi giochi?
Bisogna saper leggere o saper contare?
Quanto serve saper usare bene le mani?
Quanto ragionamento e logica occupano spesso lo spazio di parecchi minuti?
Quante scelte dovete operare mentre giocate?
Quante norme implica l’atto di giocare insieme?

Ditemi una cosa che giocando non si fa e non si usa mai e vi dirò chi siete …disse il mago.
Arriva il brutto tempo. Forse, ci toccherà stare più tempo in casa anche per questo. Che aspettate a recuperare i carri armati del Risiko mentre parlate di guerre, di conquista dei continenti, di risorse geologiche e di sfruttamento?

Attenti, vi teniamo d’occhio anche nei bassifondi! Siate entusiasti delle scatole rotte e dell’ingiallimento delle confezioni. Fanno sempre in tempo a peggiorare.

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