La nostra quarantena volontaria, da famiglia sana che non ha avuto contatti con potenziali untori, è iniziata il 1 Marzo 2020. Sono 11 giorni che usciamo (anzi, esce solo Marco) unicamente per buttare la spazzatura, a tarda notte. Sono stata io la prima in famiglia ad adottare rimedi cinesi immediati, preparandomi al peggio, avendo intuito che in Italia, nel giro di qualche giorno, la situazione sarebbe diventata drammatica, quale di fatto oggi è.
Cosa ci ha indotti a convergere su questa scelta e a sensibilizzare subito amici, parenti e vicini, in un momento in cui tanta gente era ancora assolutamente cieca, rinunciando liberamente alle nostre uscite, ai nostri appuntamenti, alle cene con gli amici, agli incontri con altri bambini e altre famiglie, ai nonni, alla messa in presenza fisica e a tante altre cose? Una semplice intuizione, una sensibilità diversa alle cose del mondo, una diversa percezione di cosa siano il senso del dovere, l’amore e la cura del nostro prossimo e di quali siano le priorità. Abbiamo subito messo a fuoco che la paura (utilissimo segnale di allerta) e l’angoscia (che implica la perdia di lucidità) sono due cose completamente diverse, che sarebbe morta tanta gente per tutelare interessi diversi orizzontali e variegati e che i bambini dovevano sapere. Ai bambini va detto tutto: perché non possono uscire, cos’è un virus, come si compie una scelta saggia in situazioni di emergenza, come si usa la paura a nostro favore per non farla diventare un’angoscia, come si muore, come si vive in tempo di crisi, come si valorizza il tempo che un nemico invisibile ci consente di trascorrere insieme in modo diverso dal solito e, aggiungiamo noi, come si prega.
Vi risparmio la quercia moralista che sarei tentata di fare per sfogarmi di quanto non comprendo tutti quelli ai quali, anche in questi casi, la vita scivola addosso come fosse una semplice secchiata d’acqua da cui scansarsi: “Io non ci posso fare nulla”. Ho trovato un bel video di Umberto Galimberti (che quoto per il 97% di quello che dice, ci sarebbero tante sfumature da scandagliare), non brevissimo, che penso dovrebbero vedere tutti. In fondo è quello che, se sapessi mantenere la sua invidiabile calma, direi anche io, rincarando la dose su qualcosa ed evitando di giustificare tanti atteggiamenti a tanti livelli che invece, secondo me, andrebbero diversamente analizzati.
Cosa vi lascio quindi in questo post, all’undicesimo giorno di quarantena volontaria, per evitare di imbrillantinare come al solito i miei lati peggiori, nero su bianco? Una conversazione di ieri avuta con mio figlio Samuele, di quattro anni, visto che qualcuno mi ha chiesto: “ma voi cosa state dicendo a vostro figlio? Come fate a tenerlo in casa tutto il tempo?”. Premesso che noi, facendo educazione parentale e stando frequentemente insieme non abbiamo il problema di tenerlo in casa o fuori di casa perché stiamo spesso insieme a prescindere, spero che questo stralcio possa essere di aiuto.
Giornalmente, questa situazione è per tutti noi un’occasione di apprendimento da estendere a tante sfere della conoscenza multidisciplinare, oltre che della vita. Condividiamo:
– lo stato delle cose, imparando così a prendere coscienza della realtà, degli atteggiamenti e delle abitudini da rivedere;
– l’andamento dell’epidemia, che ci consente di analizzare insieme l’osservazione di un grafico, l’atlante geografico, una stima, un bilancio, una statistica;
– le fonti alle quali attingiamo per documentarci, imperdibile occasione per imparare a distinguere i fatti dalle opinioni;
– le informazioni dirette che abbiamo modo di raccogliere dai nostri amici medici e operatori sanitari, impegnati duramente in prima linea in questa emergenza, che ci danno sempre una chiara occasione per separare gli interessi di alcuni dalle necessità di altri e i reportage di seconda o terza mano da quello che accade veramente sul territorio, oltre che offrirci uno spunto concreto per trasmettere aspetti della vita umana più legati alla vocazione, alla disciplina, alla competenza, alla custodia, alla santità.
Samuele – “Mamma, cos’è il coronavirus?”
Io – “E’ un virus, tesoro. I virus li abbiamo fatti quando abbiamo parlato anche dei batteri buoni e cattivi, ti ricordi?”
Samuele – “Sì, mi ricordo.”
Io – “E cosa ti ricordi?”
Samuele – “Mi ricordo che alcuni sono pericolosi e altri no, che bisogna sempre lavarsi le mani e non mettersele in faccia e che… sono invisibili!”
Io – “Ti ricordi tante cose, bravo.”
Samuele – “Però mamma, perché non possiamo uscire stavolta?”
Io – “Perché questo virus è molto pericoloso e molto aggressivo, quindi prima di tutto cerchiamo di non ammalarci. Ma soprattutto perché siccome in molti casi si finisce in ospedale e ci sono persone che hanno più bisogno di noi di essere curate perché sono già malate, noi dobbiamo fare tutto quello che possiamo per evitare di esporci a una cosa che per qualcun altro potrebbe essere letale.”
Samuele – “Che significa …letale mamma?”
Io – “Significa che uccide.”
Samuele – “Questo virus uccide le persone?”
Io – “In molti casi sì perché ci sono persone più deboli e indifese che non riescono a difendersi con il proprio sistema immunitario e siccome non ci sono medicine per guarire… e poi sai, Samuele, nessuno sa mai troppo bene come si comporta un virus, soprattutto se è nuovo, come questo, quindi…”
Samuele – “…Quindi?”
Io – “Quindi noi dobbiamo fare la nostra parte. Dobbiamo stare a casa per evitare che si ammali troppa gente tutta insieme e che i medici che ci sono non riescano da soli a curare tutti.”
Samuele – “Ma chi muore va in cielo mamma?”
Io – “Noi preghiamo tutte le sere con te quando ti mettiamo a letto per chiedere a Gesù di portare in cielo tutte le anime, no?”
Samuele – “Eh sì, infatti.”
Io – “Ecco, noi quello possiamo fare: chiedere e sperare… E stare a casa!”
Samuele – “Va beh… che facciamo allora? Costruiamo una casetta in camera mia per scacciare il virus!”
Io – “Una casa nella casa? Un bunker in pratica…”
Samuele – “Un che…?”
Io – “Niente, lascia stare, adiamo dai…”





