Premetto che conosco i mezzi quasi da prima che li inventassero, essendo stata dal 1995 per più di vent’anni nell’informatica (e sue laterali interpretazioni). So cos’è un audio libro, a cosa serve Audible e suoi concorrenti, come si usano un kindle, un ipod o uno smartphone e come si acquista o si rende disponibile un testo in formato ebook, un brano musicale in versione digitale, un contenuto in rete, un video o un oggetto …and so on. Sono sempre stata una sostenitrice operosa e operante dell’evoluzione e del progresso tecnico dei sistemi e delle tecnologie, ma me se sono sempre tenuta anche un po’ alla larga, con quella diffidenza che non aiuta a fare generosi passi avanti, soprattutto se i passi diventano salti e i salti diventano tripli, i tuffi carpiati e le capriole multiple. Giusto per contraddire un attimo Steve Jobs (che per inciso non si è mai laureato), non tutto ciò che risponde alla semplificazione -della quale è stato interprete quasi perfetto- è un bene.
Spesso si rischia di confondere la semplificazione col semplicismo, con la banalizzazione, e il mondo di oggi partorisce sempre più spesso oggetti, notizie, modi di vivere, ideologie e parafrasi che sono proprio frutto di questo approccio: la domotica in sé non ha nulla a che vedere con la semplificazione se non so per quale motivo faccio le cose, non ne conosco le conseguenze, non mi faccio domande sulle origini o non sono capace di farne a meno perché ne ho dimenticato le premesse. Questa diventa superficialità, inconsistenza. Il progresso deve servire l’uomo e non il contrario. Lo sappiamo tutti, eppure le redini sono senza dubbio ormai legate ai nostri colli, a loro volta attaccati a una testa che continua a dirci che… “purosangue è bello”. Così, la bocca nitrisce, lasciando lo sperpero dell’attributo belante delle pecore a novax e complottisti che, in ogni circostanza, qualunque sia l’ambito, il contesto o l’argomento, hanno sempre capito tutto e subito. Beati loro.
Tra un abbraccio e un bit c’è l’essere umano, ciccia e muscoli. E non solo.
Da quando siamo diventati genitori unschooler, abbiamo scelto di lasciar sopravvivere tra le mura domestiche piccoli pezzi di storia di questo tipo di progressi tecnici e strumentali, così che i nostri figli facessero ancora in tempo a vedere e a utilizzare cose che altri bambini non hanno mai visto da quando sono nati, compreso il telefono fisso col filo. Vivere la quotidianità immersi in una dimensione familiare che ci consente di utilizzare e quindi anche di memorizzare mezzi, processi, funzioni e scelte non più così comuni, è un modo per continuare a fare tre cose fondamentali: usare tutti i sensi, imparare a fare le cose senza risolverne ognuna premendo semplicemente un bottone -o peggio ancora chiedendo ad Alexa- e conoscere la storia. Ecco, magari per dare un suggerimento educativo volto al libero apprendimento, soprattutto nei bambini, posso dirvi -non solo per esperienza diretta- che assecondare la conoscenza delle cose e della realtà nella vita quotidiana, grazie alla consuetudine e alla disponibilità offerta dall’ambiente circostante, è un elemento primario e naturale per suscitare senza sforzo curiosità, interesse, attenzione e creatività. La casa in cui vivete, di qualunque dimensione o genere sia, è sempre e comunque un ottimo inizio. Tra l’altro fare una selezione intelligente per tenere cose apparentemente inutili e vecchie (un telefono col filo, un walkman, una vecchia macchinetta fotografica con rullino, un giradischi, un lettore portatile di 45 giri, un registratore vocale degli anni ’80, una macchina da scrivere, un macinino da caffè, dei floppy disk in un cassetto, ecc.) ha un bassissimo costo in termini di investimento perché:
1. nel caso non le abbiate voi, si trovano facilmente anche in regalo;
2. lo spazio che richiedono è davvero irrisorio;
3. veicolano una conoscenza gratuita di storia, cultura, costume e civiltà assolutamente multidisciplinare e di facilissima comprensione.
A questo genere di conoscenza storica, di costume, uso, civiltà e abitudini, non viene normalmente riconosciuto nessun valore, purtroppo. Non solo a scuola, ma anche a casa.
Una volta, nelle case che io ricordo c’era di tutto. Le occasioni per imparare qualcosa o per chiedersi a cosa servisse un utensile strano erano infinite. Il raggiungimento di un risultato lo dovevi ottenere attraverso l’elaborazione e la messa in opera di un procedimento che, per quanto breve e semplice, implicava l’acquisizione nel tempo di capacità cognitive, logiche, fisiche e creative distribuite su tutto il corpo. Per fare un esempio banale, proprio l’utensile è quasi scomparso ormai: i robot da cucina fanno tutto e tra poco non ci sarà neanche più bisogno di attaccarli a una presa di corrente -l’unico atto che fisicamente restava da fare. Quanti di noi non attaccano più un francobollo per il solo piacere di scrivere una cartolina o non prendono in mano una penna più di una volta alla settimana, quando va bene?
Oggi le nostre case sono spesso imperi di automazione -anche quella sempre più digeribile ed economicamente raggiungibile. Non si può toccare niente perché non c’è più quasi niente da toccare e quello che tocchi fa da solo anche se non è un essere umano. C’è la “cameretta”, dove tutto è possibile, questo ranch anni ’90 confinato dalla quiete e dall’ordine spazio temporale degli adulti, e poi c’è il resto della casa, quello in cui i bambini vagano nel tentativo di capire se hanno un secondo sedere che non poggi a terra o sul divano oppure no.

Il nostro telefono di Pippo è col filo ed è attaccato a un cavo! Magia!
Devi alzare la cornetta e tenerla cor(n)ettamente in mano, altrimenti chi parla con te non capisce un tubo (è un modo per imparare a mantenere un ordine fisico, una postura necessaria e non imposta); devi aspettare il segnale e capire se c’è la linea in base al rumore che fa (tutto richiede un tempo e il tempo richiesto richiede pazienza e devozione verso qualcosa di più bello e di più grande); devi comporre il numero -che a forza di fare ti ricordi- e aspettare (potresti sbagliare perché Pippo non ha memoria, è solo un vecchio telefono al tuo servizio e non il contrario, quindi sei tu che devi fare attenzione); devi stare fermo in poco più di un metro (hai l’occasione di dedicare l’esclusiva a chi parla con te, non te ne puoi andare in giro a fare altre dieci cose); devi concentrarti su quello che dici perché di vedersi non se ne parla (ma godi del fatto che, grazie al caro vecchio amico cavo, non esiste un problema di segnale); se cade la linea o è occupato, Pippo non richiama nessuno, devi richiamare tu (così potrai capire se era veramente necessario fare quella chiamata o se te la potevi anche risparmiare); se non fai in tempo a rispondere hai perso la chiamata, devi gestire questa priorità tra quello che stai facendo e il telefono che squilla, non saprai mai chi ti stava cercando e perché e non potrai richiamare (quante decisioni da prendere e quante conseguenze); se quando finisci la telefonata riagganci male la cornetta, il telefono resta isolato (devi stare attento); se stacchi il filo, pace, non hai bisogno di bloccare nessuno (stai esercitando la tua libertà di rimanere solo con te stesso per un po’)…
In questo vecchio e ammuffito mondo analogico che richiedeva più tempo, più attenzioni, più capacità di operare scelte coscienti e soprattutto maggiore devozione sensoriale, si è smarrita la differenza fondamentale tra la semplificazione e il semplicismo. Le stesse scuole sono concepite ormai in modo che i bambini o i ragazzi non si facciano male, non perdano tempo e si sbrighino a capire. Poi magari, se bisogna avvitare una vite da qualche parte, ci si inventa l’alternanza scuola-lavoro o il laboratorio altrove, così che gli insegnanti -che sono spesso altre vittime del sistema- possano limitare le loro responsabilità complessive in attenzioni semplificate: se le cose si fanno fuori dalla scuola, in un altro posto, anche la responsabilità passa il testimone a qualcun altro…
Stavo per scrivere un post su cosa suggerirvi di leggere su device con i bambini, visto che in questa quarantena noi abbiamo fatto tante nuove scoperte, invece ho finito col dare una risposta che solo a chi è saturo di intontimenti, comodità e dipendenze può sembrare banale. Alle tante sollecitazioni che da più parti arrivano in questi giorni da genitori che stanno ritirando i figli dalle scuole, proprio a testimonianza del fatto che la DAD -ma non solo quella- “funziona benissimo” anche come soluzione di lungo periodo, e che ci chiedono “da dove si comincia per fare istruzione parentale” o “cosa bisogna comprare” per “mettersi in regola”, risponderei a caldo che i sorrisi ai vostri figli sono gratis e che è già tutto intorno a voi. Poi, magari, nei prossimi post, vediamo di aiutarvi anche e soprattutto a chiarire meglio non tanto il come ma il perché. Se intanto volete leggervi il mio ultimo libro (disponibile su Amazon a questo link), lì troverete tanti spunti, riferimenti, fonti e motivi -almeno i nostri- per i quali ha senso, oggi più che mai, scegliere questa avventura educativa “su misura” potentissima! E, se alla fine proprio insisterete così tanto perché avrete finalmente capito che questa scelta vi riguarda e fa per voi, e siete anche pronti a cambiare vita, questo è un blog -dove, almeno per il momento, tutto è gratis– che spero faccia al caso vostro.
Intanto però, un telefono col filo a casa mettetelo…